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sabato 25 maggio 2013

Non ce l'ho fatta. Ho pianto anche oggi!

Ricky oggi ha preso il diploma della scuola materna. E' un remigino (i remigini sono i bambini di prima elementare, e normalmente li si festeggia il primo di ottobre, festa di San Remigio) ed ha ricevuto il diploma, insieme ai compagni della sua classe, dopo una solenne cerimonia all'Auditorium dell'oratorio di Santo Stefano, a Vedano.

Pensavo fosse una festa come le altre, ma sentire mio figlio chiamato dalla Direttrice dell'asilo, vederlo con in testa il copricapo dei laureandi, mentre riceve dalla sua insegnante il diploma e il bacio accademico.. mi ha fatto versare fiumi e fiumi di lacrime.
A me, come a tutte le mamme (e secondo me anche qualche papà) presenti in sala per vedere i loro bimbi.
Il papà ed io eravamo davvero orgogliosi. Ci siamo vestiti con i colori della classe di Ricky (gli anatroccoli) ed abbiamo fatto il tifo per lui quando era sul palco.
Che emozioni forti. Non pensavo. Forse nessuno lo pensa, fino a che non si trova nei panni di uno dei genitori.
Ogni volta che provo queste emozioni, che non riesco a trattenere le lacrime.. mi chiedo se sarò in grado di affrontare tutti i cambiamenti di Ricky, tutte le conquiste, tutte le volte che farà un passo avanti e che -inevitabilmente- si allontanerà un pochino da me.
Fare la mamma è la cosa più bella che possa capitare nella vita, quello che più mi meraviglia è che effettivamente una mamma fa di tutto (da subito) per aiutare i propri figli a lasciarla.
Prendiamo il parto, le contrazioni non sono altro che il modo che ha il bimbo di spingere per trovarsi la sua via di uscita, e noi cosa facciamo? Ci sincronizziamo alle sue spinte per aiutarlo ad uscire, anche se sappiamo che agevolare la cosa ci farà più male. Andiamo contro noi stesse.
Poi li allattiamo quanto serve ma con l'obiettivo di svezzarli, perchè imparino a fare a meno del nostro latte, poi del nostro corpo, perchè imparino a nutrirsi, ad addormentarsi, a rialzarsi senza il nostro intervento.
Ogni giorno facciamo delle piccole (enormi) cose che piano piano li allontanano da noi.
Con tristezza? No, non è tristezza. E' comunque felicità, perchè solo quando saranno indipendenti, sapremo di aver fatto il nostro dovere alla perfezione.
Ricordo una poesia di Khalil Gibran, che lessi quando ero adolescente, e che la mamma di una mia amica condivise con un'espressione felice, ma rassegnata (allora non potevo capirne esattamente il significato):

I tuoi figli non sono figli tuoi. 
Sono i figli e le figlie della vita stessa. 
Tu li metti al mondo, ma non li crei. 
Sono vicini a te ma non sono cosa tua. 
Puoi dare a loro tutto il tuo amore ma non le tue idee. 
Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima. 
Perchè la loro anima abita nella casa dell'avvenire dove a te non è dato entrare, neppure in sogno. 
Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere che assomiglino a te. 
Perchè la vita non torna indietro e non si ferma a ieri. 
Tu sei l'arco che lancia i figli verso il domani.



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